Torricella in Sabina

Un centinaio di metri oltre il 68° Km della Vecchia Via Salaria, laddove questa dopo una tortuosa salita di circa sette chilometri fra estesi uliveti e folti boschi percorre un breve tratto pianeggiante si diparte la comoda strada che, tra vecchie case di campagna e moderne villette, conduce, in meno di mezzo chilometro, a Torricella Sabina, in provincia di Rieti.
Situato nella zona montuosa della regione a 615 metridi altitudine, il paese è formato da un'unica strada in leggero pendio, fiancheggiata da due file ininterrotte di case, che termina a ridosso dell'antico palazzo Cesarini al di là del quale sorge un aggregato compatto e raccolto di basse casette dalle palesi caratteristiche medievali denominato Pescheria.
Torricella è un paese prevalentemente agricolo: l'olio è il più noto e rinomato dei suoi prodotti. In altri tempi dovettero essere famosi anche i latticini dal momento che il Ferri scriveva: “vi si fanno per cagione del suo clima e degli erbosi pascoli, squisite caciotte e formaggi sodi che si sgranano e sono saporosi, dì simigliante al rinomato stracchino di Gorgonzola”.
Ancor oggi, del resto, nelle campagne circostanti si può trovare dell'ottimo pecorino.
I "torricellani" sono semplici, schietti, laboriosi, ospitali: qualità innate nelle genti della Sabina.
Non è certo se a dare il nome al paese sia stata una "piccola torre eretta dai primi feudatari oppure se la denominazione provenga da Turris Celiae, come si legge sul sigillo parrocchiale, per l'esistenza nel luogo di una antica torre in cui, secondo una vecchia leggenda, una tale contessa Celia fu rinchiusa e lasciata morire d'inedia.
Diciamo subito che di Torricella, sorta probabilmente prima del secolo X, si hanno scarse notizie.
La più antica menzione la troviamo nel Regesto Farfense dove si dice che nel mese di maggio del 1019 Tedmario, figlio di Gisone, donò all'abbazia di Farfa alcuni beni fra I quali una parte “de ipso castello quod dicitur Turricella”.
Altre citazioni, reca ancora il Regesto: in un'elencazione degli “acquisti e dei contratti principali” fatti dall'abate farfense Berardo I nel 1047 figura ancora il “castello di Turricella”; nel novembre del 1059 Giovanni e Pietro, figli di Tenza col consenso del loro tutore Gùido di Nastasia vendono a Dono, diacono di Farfa, per cinque soldi, una loro terra situata “nel luogo detto Turricella”; nell'aprile del 1065 e nel marzo del 1066 Rainiero e Grescenzio, figli di Azolino ed altri vendono all'anzidetto Dono alcuni beni situati in territorio sabinense “nel luogo detto Turricella"; nell'ottobre del 1079 è registrata una donazione fatta da Giovanni prete al monastero di Farfa.
Se ne parla ancora in una carta manoscritta da Giovanni notaio, datata giugno 1086, in cui si legge che Tassone, figlio del fu Donadeo dona al cenobio di Farfa, mentre ne era abate Berardo, ciò che possedeva nel territorio reatino, e cioè due porzioni del castello di Torricella.
Dopo di che, non si trovano notizie sino alla fine del Trecento.
Si riparla di Torricella in un documento datato 13 aprile 1388, esistente nell’archivio Sforza Cesarini, dal quale si apprende che all’epoca ne erano proprietari i Brancaleoni, nobili originari di Ferentino i quali probabilmente l’avevano ricevuto in feudo molto tempo prima, unitamente ai castelli sabini di Frasso, Ginestra e Stipes.
Torricella passò poi ad un’altra nobile famiglia, quella dei Cesarini, quando nel 1444 i fratelli Francesco e Paolo Brancaleoni donarono, insieme ad altri beni che possedevano in Sabina, una parte del castello alla sorella Simodea, detta anche Semidea, andata sposa nel 1441 ad Orso Cesarini.
Fu eretto allora, a fianco della primitiva torre, il palazzo ancor oggi esistente.
Vi sono alcune pergamene ed istrumenti da cui risulta la donazione di una parte del castello di Torricella e di alcuni beni in Oliveto fatta nel 1466 da Francesco Brancaleoni a Gabriele Cesarini figlio di Orso e di Simodea.
Il matrimonio di Livia Cesarini, figlia del duca Giuliano e di Margherita Savelli con Federico Sforza, figlio del duca Paolo e di Olimpia Oesi, avvenuto il 27 febbraio 1673, dette origine alla famiglia Sforza Cesarini che tenne il possesso di Torricella sino alla definitiva vendita del palazzo ducale e di altri beni nel 1828.
Esiste tuttora il contratto di vendita del palazzo da parte del duca Salvatore Sforza Cesarini a favore di Giovanni Paolo Janni ed Emidio Ciccaglioni vendita motivata dal pessimo stato in cui era ridotto l’immobile.
Il malandato palazzo, compresi i pochi mobili rimasti, fu venduto "per 850 scudi, pagabili in un anno, a Roma in tanta buona moneta d'oro e d’argento esclusa qualunque sorta di carta moneta od altra inferiore moneta".
L'atto reca la data del 23 dicembre 1828 e le firme di Nicola Ratti, procuratore ed agente generale di casa Sforza Cesarini, dei due compratori, e di due testimoni, Gaetano Palma e Giovanni Giuliani.
In un altro documento si parla della vendita di due terreni, l'uno in vocabolo Largo del Termine (confinante con la strada per Roccasinibalda) e l’altro “macchioso con alberi di cerro” in vocabolo Mojola entrambi acquistati da Michele Colangeli.
I duchi rimasero ancora proprietari di un immenso bosco di querce e di cerri situato a nord del paese, già dato in enfiteusi a varie persone alcune delle quali successivamente ottennero, pagando, di disboscarlo per ridurlo a cultura.
Nacquero così i fertili terreni che si possono ammirare nella zona.
Anche della storia del Comune non si sa molto. Il più antico registro di deliberazioni salvatosi dalla dispersione cui andarono soggetti molti documenti, si inizia con un atto di ordinaria amministrazione dell’11 marzo 1630, essendo “Cancellarius di Torricella Statius Statutus”.
La perdita di documenti relativi alla storia di questo paese viene sottolineata ancora una volta in questa lettera che l’abate Ferdinando Cavanna, deputato della S. Congregazione del buon Governo, scriveva nel dicembre 1789 ai priori di Torricella: “Ha regnato da tempo immemorabile nella Terra della Torricella un notabile disordine di non avere quella comunità alcun luogo fisso per uso della pubblica segreteria e di ritenersi presso il segretario pro tempore tutti i libri e scritture appartenenti alla comunità, ed altresì una piccola casettina per custodirvi il pubblico sigillo. Da ciò ne é derivata la dispersione totale delle pubbliche scritture passate da un segretario all'altro senza inventario, senza alcuna formale consegna, che pure avrebbe moltissimo contribuito alla conservazione delle medesime”.
Verso la fine del secolo scorso furono aggregate a Torricella le sue due attuali frazioni di Ornaro ed Oliveto, graziosi e tranquilli paesini lontani dagli odierni rumori e perciò assai frequentati nel periodo estivo.
Passata allo Stato italiano a seguito dello annessioni del 1860, Torricella fu aggregata alla provincia di Perugia, poi a quella di Roma ed infine nel 1927, alla nuova provincia di Rieti.
Il paese visse un paio di giornate memorabili dal 21 al 23 ottobre 1867 quando vi sostò una colonna di circa trecento volontari garibaldini provenienti da Rieti e diretti a Roma, nel corso di quella infelice impresa denomina “campagna dell’agro romano” che si concluse con la drammatica giornata di Mentana.
Così ne riferisce con semplicità e vivezza il Barrili, uno dei volontari, ponendo in risalto le dimostrazioni di generosa ospitalità offerte dalla popolazione: “Sono ottima gente, cortesi senza fronzoli e con tanto di cuore come i loro antichissimi padri. Ricorderò sempre con gratitudine il sindaco e il segretario comunale che erano due fratelli Enrico e Domenico Pitorri... I nostri ospiti (poichè in casa loro ebbi, la più lieta accoglienza) non potevano capacitarsi di come noi si sperasse di far opera gagliarda senza l’aiuto del Governo…”.
Poi, con scrupolosa fedeltà di cronista così prosegue: "l buoni abitanti di Torricella mossi a pietà del nostro stato…. ci offrivano quattordici fucili, cinque dei quali erano stati caricati due o tre anni innanzi... Comunque fosse accettammo il presente che in quelle circostanze ci parve la man di Dio.
Dopo aver ricordato che la mattina del 23 Garibaldi transitava velocemente in carrozza per Torricella diretto a Scandriglia e quindi a Passo Corese per passare il confine lo scrittore conclude dicendo: “Salutati affettuosamente i nostri ospiti cortesi lasciammo il paese alle due pomeridiane dello stesso giorno accompagnati da un’acquarugiola fine e continua… cantando il Fratelli d’Italia al popolo di Torricella che ci saluta dai margini della strada maestra, dalle finestre dei casolari, dalle prode dei campi……”
Oltre al già ricordato palazzo Cesarini, che è un po’ l’orgoglio dei torricellani, nel paese vi sono tre interessanti chiese.
Una all’inizio del borgo é intitolata a S. Antonio: é una graziosa chiesetta seicentesca privata, i cui proprietari non risiedono nel luogo, per cui essendo pressoché in disuso si va progressivamente deteriorando. Di notevole possiede un tabernacolo ligneo di buona fattura.
C’è poi la chiesa parrocchiale dedicata a S. Giovanni Battista, situata nella parte medievele del paese, la cui costruzione risale probabilmente al XII secolo.
Sulla facciata, più volte rimaneggiata, fa spicco un artistico rosone, con archetti e colonnine a tortiglione magistralmente scolpiti, che può essere riferito agli inizi del Trecento.
L’interno è ad un’unica navata; l’abside è costituita dalla curvatura semicircolare di un preesistente torrione sulle cui pareti sono stati recentemente scoperti frammenti di dipinti medioevali con figure di Santi, uno dei quali reca la data 1251; due pregevoli tele del primo Cinquecento si trovano sui due altari laterali.
Una splendida tavola a tempera raffigurante la Madonna col Bambino, attribuita da alcuni ad un anonimo artista della regione umbro-laziale del sec. XV, da altri, più verosimilmente, alla scuola del Lippi, trovasi presso la Soprintendenza. Degna d’interesse é una bella croce in stile sbalzata in argento, pregevole lavoro di oreficeria medievale, probaoilmente abruzzese, della fine del Trecento.
La terza chiesa intitolata a Santa Maria dell Grazie, con annesso un antico convento, é situata subito fuori del paese, sulla strada per Poggio San Lorenzo. Si tratta di un interessante complesso monastico di cui si hanno scarse notizie.
Unico documento esistente é una lunga relazione sullo stato del monastero, redatta il 15 aprile 1650 dai monaci Agostiniani che vi abitavano e conservata nell'Archivio generale Agostiniano, in Roma. In essa si legge che “la sua fondazione ed erezione, consenso et autorità del S.P. assegnamenti et obblighi non si possono descrivere stante che libri passati della sua famiglia attestano esser perito 1 libro nel tempo del priore Fra Angelo da Gualdo Cattano nel 1625 e 1626 nel quale potevano costare et apparire le suddette cose”. Sulla lunetta della porta d’ingresso della chiesa è ancora leggibile questa scritta incisa su pietra: “Initiun huius devotionis fuit in die Sancti Patris Augustini an. 1405”. Anche sull'architrave si legge “Salve Regina Mater Misericordiae” e più sotto: “Ecclesia fratrum servorum Xti et servorum Sancte Marie". Da questa chiesa proviene la preziosa tempera della Madonna col Bambino di cui si detto sopra.
La minuta ed interessante descrizione di tutto il complesso che gll Agostiniani facevano nell'anzidetta relazione “La struttura della chiesa e del convento”, vi si legge, “é di tre piani. Nel 1° vi è la chiesa con cinque altari con il choro e la sagrestia d'ottime muraglie…; nel 2° vi è la cucina commoda con uno stanziolino ove si conservano li mobili et massarie di tavola e cucina. Vi è il legnaro assai grande. Refettorio et granaro commodi. Vi sono quattro stalle mediocri et il cortile con vasca e vaschetello con tutti l'istrumenti necessari, come caldara murata et altri. Vi è anche il pozzo d'acqua. Nell'ingresso del monastero vi é il suo portico con loggia. Vi é anche un cortiletto con una stalla di paro lunghezza. Nel 3° piano vi é il dormitorio con sei camere cioè tre mediocri e tre grandi… Vi é anco il suo loco comune et un'altra dispensa. Vi sono anco quattro fienili sopra 1 e quattro stalle corrispondenti alla grandezza di quelle, et anco un altro fienile sopra la stalla maggiore, alla sua grandezza corrispondente; se ne cava di pigione uno scudo l'anno".
La relazione, che di ogni ambiente fornisce anche le precise dimensioni, così prosegue: "Nel convento di presente di famiglia vi habitano doi sacerdoti, cioè il padre Giovanni di detta Torricella priore, ed il padre Marcantonio del medesimo luogo; e doi conversi, cioè Frà Nicola e Frà Giuseppe parimenti del medesimo luogo… Possiede terreni arativi e lavorativi…dove si raccogliono noci et mela et pera…; possiede pezzi d'arbori, vitatidi prati, d'oliveti et cerqueti et selve di ghiande…et possiede un horto dal quale non si cava moneta ma serve solamente per uso cibario della suddetta famiglia". Seguono le firme di Frà Giovanni Pitorri priore e di due monaci.
Non si sa fino a quando gli Agostiniani siano rimasti nel convento S. Maria delle Grazie nè chi vi abbia abitato dopo di loro. Qualcuno ritiene che ad essi siano succeduti i Francescani, ma nei ricchissimi archivi generali di questi due Ordini religiosi non esistono notizie a riguardo.
Dopo il 1870, passati al Comune, chiesa e convento rimasero per decenni abbandonati a se stessi, divenendo luogo di rifuggio per gente senza tetto, abitazione di pastori e persino ricovero di armenti. Durante la Prima Guerra Mondiale vi furono concentrati per qualche anno alcuni prigionieri austro-ungarici. In seguito al Concordato, questo complesso monastico fu restituito alla Chiesa, che vi operò alcuni lavori di riordino e di restauro. Ma poi seguirono altri decenni di abbandono e di disinteresse. Nel 1975, finalmente, la chiesa è stata a fondo restaurata per l'interessamento e la generosità dell'Ing. Enrico Filippi come ricorda una lapide posta all’interno.
Durante i lavori eseguiti in S. Maria delle Grazie sono venuti alla luce alcuni interessanti affreschi sino ad allora celati da intonachi e tinteggiature sovrapposti senza criterio nel corso dei secoli: due sulla parete di destra, una Madonna in trono col Bambino e ancora, una Madonna col Bambino e S. Atonio abate; un altro, di buona fattura sul secondo altare di sinistra raffigurante anch'esso la Vergine col Figlio e ai lati, S. Nicola da Tolentino e S. Caterina d’Alessandria.
Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, Torricella subì notevoli danni: alcune vecchie case andate distrutte furono poi sollecitamente ricostruite.
Numerose nuove costruzioni sorsero all'epoca del boom edilizio e successivamente, talché il paese si è molto esteso fino a raggiungere la Via Salaria: i prati, gli orti, i campi che un tempo lo cingevano da presso, accolgono oggi graziose e Moderne villette di fiori e di verde.
Per la sua posizione facilmente raggiungibile percorrendo la Via Salaria, per la sua distanza di appena 18 chilometri da Rieti e poco più di 60 da Roma, per l'ottimo clima e per la serena quiete che vi regna, Torricella é una allettante località per un riposante soggiorno estivo, un tranquillo ed interessante paesotto da scoprire.

Sito ufficiale del Comune di Torricella in Sabina: clicca qui


Testo:Giuseppe Tanteri - Paesi del Lazio (dalla rivista Lazio Oggi 1982)
Foto: Associazione culturale ambientalista “Organizzazione Alfa”

 

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