Tipologia: sito archeologico 

Sito Visitabile: internamente 
Indirizzo
Via Roma 
Prenotazione visite
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Sito web: Rieti da scoprire

Geolocalizzazione: 42° 24' 4.75'' N, 12° 51' 39.70'' E

Il sale è stato l’oro bianco dell’antichità, essenziale per la conservazione del cibo, oltre che per il loro condimento, indispensabile per pagare i soldati, un vero e proprio genere di lusso per chi abitava lontano dalle coste.
Nella Naturalis Historia Plinio affermava che non era possibile concepire una vita civilizzata senza di esso.
I romani furono i primi a capirne le necessità e il valore tant’è che costruirono la più antica via consolare, la via Salaria, che congiungeva Roma a Porto d’Ascoli per il trasporto del prezioso alimento. 
La strada passava per la città di Rieti, dove i romani dovettero fare i conti con un elemento oggi ancora più prezioso del sale: l’acqua. 
Croce e delizia del territorio reatino, questo bene insostituibile ha reso sempre difficile la vita della popolazione locale, costretta a combattere con il fiume Velino che nel passato usciva spesso dagli argini. 
Oggi l’acqua di Rieti produce vantaggi e benefici straordinari per gli abitanti di Roma, che hanno a disposizione più di 500 litri di acqua al giorno pro-capite provenienti dalle sorgenti dell’acquedotto Peschiera-Capore, situato in località Cittaducale a pochi chilometri da Rieti, principale fonte di approvvigionamento idrico per Roma.
Grazie alle sorgenti del Peschiera, mirabile opera di ingegneria idraulica realizzata negli anni trenta del Novecento, la città infatti fornisce l’85% dell’acqua consumata a Roma. Per la capitale si tratta di un grande vantaggio, se si pensa che parigini e londinesi possono usufruire di meno della metà della quantità citata con una differenza sostanziale dovuta al fatto di utilizzare acqua purificata della Senna e del Tamigi.
I romani al contrario utilizzano acque che hanno caratteristiche potabili naturali provenienti direttamente della sorgente.
Pochi a Roma percepiscono questo vantaggio e neppure conoscono le difficoltà affrontate dalla popolazione reatina per difendersi dall’abbondanza delle acque che affiorano copiose in prossimità della città di Rieti.
Nella pianura dominata dal monte Terminillo ed attraversata dal fiume Velino si raccolgono le acque della piana di San Vittorino, del Canera, dei laghi Lungo e Ripasottile e ancora il Santa Susanna, il Fiumarone ed il lago di Ventina.
Numerosi i torrenti come l’Ariana ed il Turano che caratterizzano il paesaggio urbano e le sorgenti di Acquacane, Fontanaccio e Fonte Cottorella, una sorgente che scaturisce dalle verdi falde del monte Belvedere. 
L’etimologia di questa sorgente è di origine popolare e deriva dalla parola cottore, il recipiente usato per cucinare i legumi con il quale le donne andavano a prendere l’acqua alla fonte.
Conosciuta fin dal tempo dei romani, assidui frequentatori di terme, Cottorella è situata in un luogo ricco di verde, a circa un chilometro da porta Romana, dove è piacevole passeggiare per ritemprare il corpo e lo spirito a contatto con la natura. 
Dagli antichi romani, frequentatori del luogo, ai frati dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma che facevano prelevare barili di acqua di Cottorella per i malati, tutti hanno sperimentato l’efficacia di questa sorgente, benefica per l’apparato digerente e per la funzionalità epatica e renale.
I vantaggi ed i problemi connessi alla ricchezza di acqua della zona erano già noti agli antichi romani che bonificarono la piana reatina. 
Le acque del fiume Velino, ricche di sostanze minerali, avevano nel corso dei secoli incrostato le rocce, creando una barriera travertinosa che impediva il deflusso delle stesse a valle. Il console romano Manio Curio Dentato fece eseguire il taglio delle Marmore, consentendo così al fiume di precipitare nel Nera e liberare la pianura di Rieti dalle acque del lacus Velinus.
Questa importante opera idraulica, citata spesso nelle fonti antiche, è considerata uno degli interventi paesaggistici più interessanti e spettacolari della storia, che da una parte mise Reate in urto con Terni per i contrastanti interessi connessi alla regolamentazione delle acque del fiume Velino, dall’altra trasformò la città in un importante centro agricolo, naturale fornitore di Roma, vocazione che Rieti non ha mai abbandonato nel corso dei secoli. 
Dopo la conquista, Rieti fu sempre molto legata a Roma e collegata ad essa dalla via Salaria, la via più antica che usciva da Roma. 
Come già accennato, la denominazione dell’importante arteria si deve alla sua funzione originaria che consentiva alla popolazione dell’entroterra sabino e dell’agro reatino di raggiungere Roma per rifornirsi di sale nel Foro Boario, trasportato qui dalle saline della foce del Tevere, e alle popolazioni del Piceno di trasportare numerosi prodotti verso la capitale. 
Inizialmente la strada doveva giungere a Rieti, e solo successivamente venne prolungata fino all’Adriatico, in seguito all’assoggettamento del piceno avvenuto nel 268 ac. L’ampliamento del percorso richiese un notevole dispendio di energie e di risorse economiche, se si pensa che per aprirsi un varco in direzione del mare, i romani furono costretti a realizzare subito dopo l’abitato di Interocrium, l’odierna Antrodoco, tagli verticali nelle rocce che ancora oggi caratterizzano le gole del Velino.
In loco il fiume ha scavato una forra profondissima forse la più selvaggia e suggestiva di tutto l’Appenino, dove è possibile ammirare il Masso dell’Orso, rupe tagliata dai romani per un’altezza di circa 30 metri e una lunghezza di 20 a perpendicolo sul fiume. 
Queste ed altre modifiche furono necessarie per rendere la consolare Salaria, la principale via di comunicazione per l’intero territorio sabino, utilizzabile in qualsiasi periodo.
L’abbondanza delle acque della città di Rieti, infatti, e le ricorrenti piene del fiume Velino resero altresì necessaria la costruzione di un viadotto formato da fornici rampanti per elevare la Salaria.
Questo manufatto, superando il fiume con un solido ponte in pietra dove sono visibili i profondi solchi lasciati dalle ruote dei carri utilizzati per il trasporto del sale, permetteva alla strada di raggiungere la città sviluppatasi su una rupe, evitando allagamenti ed impaludamenti. 
La struttura inglobata nei sotterranei di alcune dimore patrizie reatine è formata da grandiosi fornici romani costruiti con enormi blocchi squadrati di travertino, a sostegno del piano stradale.
Dopo aver attraversato il foro, situato dove oggi si estende piazza Vittorio Emanuele II, la strada piegava a destra sulla via Garibaldi, formando gli antichi cardo e decumeno, che rappresentano ancora oggi i due assi su cui imperniare una visita ai luoghi di maggiore interesse della città di Rieti.
Pochi conoscono l’esistenza di ampi ambienti che inglobano vestigia romane sotto l’odierna via Roma, e questo non sorprende se si considera che fino a pochi anni fa i primi a non saperlo erano i reatini stessi.
Le cose fortunatamente sono cambiate, ma ancora oggi passeggiando lungo la principale via cittadina non tutti riescono ad immaginare di camminare su un piano rialzato, sostenuto da archi, resti di un poderoso viadotto.
Nei sotterranei del civico 48 si apre un ambiente straordinario formato da un fornice romano e da archi utilizzati successivamente come fornaci per la vendita di olio e vino.
Più tardi, tra il Seicento ed il Settecento, questi locali divennero magazzini mercantili, utilizzo testimoniato dalla presenza in loco di antichi dolii oleari della capacità di circa 200 litri l’uno.
Interessante risulta visitare il magazzino di casa Parasassi ed i sotterranei di palazzo Rosati Colarieti, dove è rintracciabile parte del viadotto con fornici seminterrati e dove un imponente muro mostra il piano di inclinazione della via consolare dalle rive del fiume Velino fino alla rupe di travertino dove si era sviluppato primo nucleo abitativo della città. 
L’ambiente più antico di palazzo Napoleoni, cronologicamente successivo al manufatto romano, è appoggiato verticalmente ad uno degli archi del viadotto, conservato per una larghezza di 5,40m, un’altezza di 3,40 m ed una profondità di 7,10m. È forse il fornice pervenutoci con la visibilità più completa: risulta infatti quello meno interrato e caratterizzato, nella parete di fondo, da una botola, che nel passato assicurava il passaggio tra i palazzi Napoleoni e Vecchiarelli.
Nella zona più bassa della città di Rieti, sempre sulla riva destra del fiume Velino, era invece posizionato un porto fluviale, ampio e sicuro attracco per le barche che trasportavano granaglie ed altre merci dalla valle reatina ai sotterranei degli edifici citati.
In loco, la presenza di archi bassi rispetto all’origine, testimonia i continui aumenti di livello delle rive del fiume, tesi ad evitare l’annoso problema delle inondazioni delle case. 
Nel passato, infatti in occasione di piene particolarmente abbondanti, le acque si addentravano per diversi metri lungo l’odierna via del Porto, trasformandola in un canale navigabile.
Così Rieti, con stretti canali formati da case-torre appoggiate al viadotto romano, si trasformava in un piccola ‘Venezia d’Acqua dolce, per poi tornare alla percorribilità delle sue strade.
Una interazione in continua evoluzione del rapporto città-acqua-fiume-viadotto romano.
Un rapporto di odio e amore dove tutti hanno trovato vantaggi quotidiani e problemi da risolvere: dalle lavandaie ai contadini, dai mugnai alle ricche famiglie. 
Oggi, dopo i lavori di sistemazione del Velino degli anni trenta del secolo scorso, dopo la costruzione delle dighe del Salto e del Turano, l’acqua caratteristica peculiare di Rieti, non costituisce più una minaccia per la popolazione, ma un bene da salvaguardare ed uno strumento di studio attraverso il quale comprendere le vicende del passato.

Testo: Rita Giovannelli 
Foto: Rita Giovannelli

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